Export italiano trainato dalle filiere europee: come cambia il Supply Chain Finance

La crisi economica iniziata nel 2008 ha evidenziato i grandi problemi delle piccole e medie imprese italiane nel trovare finanziamenti, e ha dimostrato che l’ottica puramente finanziaria non è il criterio migliore per valutare il merito di credito di una realtà manifatturiera in cerca di risorse per sostenere e far crescere la propria attività.

Per questo già da qualche anno il Politecnico di Milano ha creato un Osservatorio focalizzato sul Supply Chain Finance. In poche parole, si tratta dei servizi e soluzioni a disposizione delle imprese per finanziare il capitale circolante, facendo leva non solo sul merito economico-finanziario, ma anche sulle performance operative e sul ruolo ricoperto entro la filiera (Supply Chain).

In un recente post i due direttori dell’Osservatorio, Antonella Moretto e Federico Caniato, prendono spunto dal recente record storico dell’export, tradizionale punto di forza del Made in Italy, per spiegare come l’ambito del Supply Chain Finance stia ampliandosi all’intera Europa.

Un articolo uscito in gennaio sul Sole 24 Ore (“Il nostro posto nelle catene del valore”) evidenzia il record storico di esportazioni toccato dall’economia italiana – 450 miliardi di euro nel 2017 – e dimostra che è stato proprio grazie all’export che le filiere italiane hanno recuperato dopo la recessione iniziata nel 2009, scrivono Moretto e Caniato. Questo risultato è stato ottenuto a livello europeo grazie alle cosiddette Continental Value Chain, cioè catene del valore con sempre maggiore integrazione tra le attività delle imprese a livello continentale, che registrano un gran numero di passaggi di frontiera all’interno di un continente specifico per i beni intermedi prima che questi giungano alla destinazione finale. Esempi di Continental Value Chain possono essere i grandi impianti o i macchinari, realizzati con attività produttive e componenti provenienti da diversi attori europei.

Il problema, a questo punto, è come agire a livello di filiere in modo da mantenere questa competitività nel corso del tempo, anche a livello finanziario, cioè in ottica di Supply Chain Finance. I punti chiave da considerare, spiegano Caniato e Moretto, sono tre.

Il primo riguarda la prospettiva prevalentemente nazionale di molte soluzioni di Supply Chain Finance, che sembra ormai inadeguata. «Catene così integrate a livello continentale richiedono soluzioni di finanziamento e di gestione dei flussi finanziari, nonché la capacità di valutare correttamente i propri partner, su scala internazionale, per rispondere alle reali necessità delle filiere».

Il secondo riguarda la posizione occupata dalle imprese italiane nelle Continental Value Chain. Il caso più frequente – e qui i due ricercatori citano a supporto lo Studio di Banca d’Italia “Processi di convergenza (divergenza) nell’area dell’euro: indicatori di redditività versus indicatori di costo e prezzo” (dicembre 2017) – è la produzione di beni intermedi o strumentali, che corrisponde a una posizione intermedia nella filiera europea.

Le soluzioni di Supply Chain Finance offerte per le Continental Value Chain insomma devono rispondere alle esigenze della più tipica realtà manifatturiera italiana: un’impresa di piccole e medie dimensioni (PMI) raramente in diretto contatto con grandi clienti che vantano alti livelli di merito creditizio. Il Supply Chain Finance deve quindi muoversi verso una prospettiva multi livello lungo la filiera e multi dimensionale delle imprese.

Il terzo aspetto riguarda la natura stessa degli investimenti necessari. L’indagine Bankitalia citata evidenzia infatti come l’approccio Continental Value Chain abbia portato un aumento della marginalità delle attività manifatturiere italiane, proprio quelle che hanno sofferto di più negli anni di crisi. Per sostenere questa marginalità nel tempo occorrono però investimenti, sia in asset sia in capitale umano, che non possono essere lasciati sulle spalle della singola impresa. Devono essere coordinati a livello di filiera.

«Le soluzioni di Supply Chain Finance si sono tradizionalmente focalizzate soprattutto sul capitale circolante, ma appare sempre più chiaro come sia necessario estendere questa visione anche a investimenti in asset industriali di filiera – concludono Moretto e Caniato -. In quest’ottica, il Supply Chain Finance deve quindi muoversi verso una prospettiva integrata tra gestione del circolante e finanziamento degli investimenti».

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